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Senza strade

senza strade
da una foto di Paolo

Era iniziato tutto un mercoledì mattina.

Gli abitanti del Paese avevano preso a smontare le strade, pietra su pietra. Via i marciapiedi, le strisce pedonali, le traverse della ferrovia, una per una.
I treni che arrivavano e non erano stati avvisati rimanevano lì incastrati. E adesso dove andiamo?
Era proprio la domanda che non volevano sentire.

C’era stato un consiglio comunale, nella notte, ma aperto a tutti.
E proprio tutti si erano presentati, perché la questione era vitale.
Unanimità. Non era mai successo. Una vera rivoluzione.

I turisti si erano lamentati perché non riuscivano più a raggiungere il Paese, non volutamente almeno, ci si doveva un po’ capitare.
I sindaci della Regione, per paura che la cosa si diffondesse, avevano preso provvedimenti e avevano tolto al Paese il suo nome. Ma quelli sembravano anche più contenti.
Senza nome e senza strade. Come se non esistessero, e invece esistevano eccome. Ora più di prima.
Avevano smesso di essere provvisori. Un passaggio. Ora erano un luogo.

Avevano deciso dopo aver cronometrato.
18.374 i giorni che il signor Sebastiano ci aveva speso, più di un terzo dei suoi 82 anni.
6 su 24, ma 7 le dormo: Luigi ragionava in ore perché lui, che di anni ne avea 36, diceva che così la media era più attendibile.
Ognuno si presentò con il suo foglietto, con il suo numero scritto a mano, con la sua scorta di tempo.
Misero su un piatto della grande bilancia di ottone tutti i foglietti e dall’altro tutti gli “e invece”.

Non è che non volessero più spostarsi: le porte della città erano aperte, ognuno avrebbe potuto uscire e rientrare in qualsiasi momento ma, una volta lì, sarebbe potuto stare.

Anzi fu proprio allora che alla Gina, 72 anni suonati, venne voglia di vedere il mare e la accompagnarono con una macchina piena di tramezzini e cosce di pollo che mangiò, sdentata, con i piedi pucciati nelle onde del bagnasciuga.
Perché adesso? Le chiesero. Lei non era brava a dire le cose a parole, fece spallucce e sorrise con le gengive, il che suonava un po’ come “si può davvero andare quando si sa restare”, non erano sicuri che l’avesse pensata proprio così, ma il senso era quello.
Sta di fatto che Angelo, che guai a uscire dall’Italia che abbiamo chilometri di coste, visitò la Thailandia.


Tornarono i grilli (non se ne erano mai andati, loro, ma il Paese se ne accorse solo ora, forse perché passavano meno macchine).
La Luana si innamorò di un balinese che ancora non si è capito come abbia fatto a passare di lì.

Ci vollero pochi giorni perché saltassero fuori un sacco di cose di cui non si erano accorti.
C’erano sempre state, solo che le avevano sempre cercate altrove.
Certo, dovettero abituarsi a modi nuovi: non potevi più uscire la sera diretto in quel bar, andavi in una direzione ma poi prendevi gusto a parlare con chi incontravi.
Succedevano cose inaspettate. Smisero di pianificare.


Riaccesero i forni di paese, quelli dove la tua pagnotta cuoce insieme a quella degli altri, e li ci arrivi con il profumo del pane che cuoce, che è già vero.
In effetti qualche difficoltà ci fu con le lettere d’amore: senza indirizzo arrivavano sempre alle persone sbagliate, ma era bello anche così.
Anzi alla fine misero una grande cassetta rossa in mezzo al Paese dove potevi prendere una lettera quando ne avevi voglia, a patto di rimetterne una. Funzionava.

Smisero di rincorrere le cose, di immaginarle e di cercare di afferrarle. Presero quelle che erano lì e si accorsero (questo non se lo aspettavano) che ce n’erano molte di più di quelle che ricordavano.
Alcune poi non le avevano mai viste, neanche andando lontano lontano.

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