racconti

La coda

la coda. Francesca Bruno

Gli esseri umani hanno la coda.
In alcuni si vede di più, in altri di meno, ma c’è sempre e cresce con loro.
Nasci che è un bozzo e poi non lo sai cosa ti arriva. Un po’ ce l’hai scritto dentro, un po’ succede.
In ogni modo da grande c’è, e si sente.

Qualcuno tende a nasconderla, bene incastrata sotto i vestiti, ma quando ti spogli non c’è verso.
Se cresce bene l’equilibrio è impeccabile. Cosa abbastanza rara.
Perlopiù codine storte, smozzicate, un po’ pendenti o talmente ingombranti da farti inciampare.

Quell’impiegato laggiù, che a un certo punto barcolla e crolla da una parte, ecco: la coda.
La casalinga che dal niente sbatte contro l’armadietto? La coda.

Nonostante sia abbastanza evidente, molti non sanno di averla e quelli camminano dondolando e non sanno quando perderanno l’equilibrio o perché.

Gli esperti suggeriscono di prendersene cura, e ci sono diversi modi per farlo. Qualcuno la pettina, la tinge di colori accesi, ci appiccica fiocchi e mollette. Qualcun altro ha provato ad amputarla ma, nel tempo, questa pratica è stata vietata.

Ci sono anche i raddrizzatori di code. Funziona, ma è un intervento lungo e faticoso e ci si vergogna di dire che ce ne sarebbe bisogno.

La coda è un ricettacolo di sogni infranti, pensieri incatenati, bisogni latenti.
Ci si incastrano tutti i no che potevano essere sì e i sì che invece sono diventati no.

Farebbe comodo non averla ma c’è, e si è capito che conviene fare del nostro meglio per usarla e starci in piedi insieme, invece che inciamparci.

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