racconti

Un gatto a rotaie

Tornava sempre nello stesso punto, il gatto.
Faceva sempre la stessa strada.
Non grasso nè magro. Non bello nè brutto. Solo un gatto, con le sue righe e, talvolta, un guizzo di Dio negli occhi.
Ma ancorato ad una rotaia. Con un giro non tanto largo, talvolta ridondante.
A strisciare contro i muri, saltare teatrale sullo stesso cassonetto, una zampa davanti all’altra sull’equilibrio di balconi stretti e davanzali sporchi.
Un giro abbastanza ampio da sembrare vario e sensato.
Piccole concessioni sull’orario. Roba di minuti.

Spostati di lì, veniva da dirgli.
E dava pure un senso di quiete, la prevedibilità delle sue zampe sulle sue zampe del giorno prima.
Stagione per stagione attraversata con metodica pazienza.
Era un modo per fermare il tempo, dopotutto. Uguale.

Io lo so che tu lo butti l’occhio, gatto, al di là dell’angolo, quando giri per via XX settembre, che è così lunga e piena di cose. Bella da far paura.
E chissà se a metterci una zampa sarebbe ancora così bella.
Come fai a sapere quando saltare sul cassonetto? A schiacciarti contro l’uscio del farmacista, a raccogliere le michette storte del panettiere?

Magari anche gli altri gatti hanno le rotaie. Solo un po’ più grandi, che non riconosci il giro.

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