racconti

Plinc

Wild food cafè. Due tavolini di ferro verinciati di azzurro cielo e, accanto, l’ostello.
L’odore di formaggio della Neal’s Yard Dairy le sfiorava i piedi ma poi volava su in fretta, in volute di freddo umido.
Di “wild” non aveva molto quel mezzo biscotto lasciato lì a decorare il bordo scuro del piattino, forse era per i pensieri. Lo sapevano, loro, dei pensieri di chi beveva il loro caffè?

Sentiva un po’ di freddo alle caviglie, strano le avesse tirate fuori dagli stivali, proprio quel giorno in cui aveva deciso di vagare per Apple Market: dignitosamente privo di souvenir e finte londinerie, ci aveva scovato una vecchia stampa, con un angolo appena tagliato e poco penzolante.

La guardava arrotolata nella carta di giornale, irrisoltamente ad aspettare nella borsa molle di lino ecologico. Un po’ soffriva, a vederla così. Le veniva voglia di allungarsi e spiegarsi al posto suo.

La metterò sul muro di destra del soggiorno, un po’ più in alto rispetto alla locandina Campari.
Ma i chiodi li ho? Maladetto il mio disordine, li avrà lasciati in mansarda, quando ne ho infilzato dieci (facciamo 15) nelle travi, per le luci. Si metteranno così poi, i chiodi nelle travi?

Plinc.

Un pensiero interrotto. Per un istante non ne nasce uno nuovo.
Il caffè, nella tazza smaltata di rosso, si distende in onde larghe.

Il tempo di alzare il naso al cielo che, grigio, le risponde sul naso. Ma ‘sta volta non fa rumore.
Socchiude gli occhi come il gatto del vicino, quando la guarda appallottolato su se stesso, dal bordo della ringhiera del balconcino.

Sta lì anche quando lui in casa ha ospiti. Ospiti… In due fanno troppo rumore perfino per il gatto.
Strana questa irritazione. Che cresce quando in testa le passa il rumore dei bicchieri che si sfiorano, e le risate di due che, mi sembra proprio, se la passino bene. Almeno chiudete la finestra. E fate entrare il gatto che mi guarda e sembra stia dicendo: “fessa tu”.

Andiamo. Caviglie svelte, dimenticata l’umidità, una davanti all’altra per svoltare due isolati.
Chiave nel portone e la sua tenda bianca che non si muove, da dietro le finestre. Magari non c’è.

Forse gli mostrerò questa stampa. Prima trovo i chiodi.
Una volta in cui sono sicura che non abbia qui nessuno. Chiederò al gatto, per sicurezza.

Plinc. Nella tazza di metallo un’altra goccia.

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