racconti

L’esame di fisica

un racconto di Francesca Bruno

Era un’aula grande e rumorosa, quella del Politecnico.
Poco colorata per la verità, ma il colore ce lo mettevano le magliette delle ragazze che, quando si sedevano in fila nei banchi sembravano quelle catenelle di bandierine triangolari delle feste di paese.
Quando era giorno d’esame, come oggi, le facce di tutti gli studenti cambiavano un po’: era come se avessero una solennità diversa, come se stesse per succedere qualcosa.
Perfino il silenzio che scendeva dopo che i fogli fotocopiati erano planati loro davanti al naso faceva rumore.
Un colpo di tosse, il ticchettìo di una bic sul banco, il frusciare rapido di un volta-pagina.

Li guardavo poco. All’inizio era più forte la spinta a sedermi accanto ad ognuno di loro, per aiutare, suggerire, solo curiosare. Per sentirmi il mentore che li avrebbe traghettati verso la prossima sponda.
Poi un po’ questa mia voglia di intromettermi a caso nelle loro vite si era attenuata, e adesso mi bastava guardarli da lontano e immaginare i loro pensieri, dietro a ogni testa china.

Eleonora era brava. Un po’ ci arrivava da sola, un po’ ci teneva davvero. Ma era poco interessante. La vedevo già nella sua carriera lavorativa oltre la media, però senza luce.

Julian invece era davvero brillante. Palesemente asiatico nei tratti, appena apriva bocca ti sentivi catapultato sui navigli in orario aperitivo. Trascurava i dettagli, ma intuiva ogni cosa e così usava quella sua intelligenza-regalo che gli permetteva di sciogliere anche i nodi più ostici. Infatti scriveva veloce.

Poi c’era Mauro, in alto a sinistra, tutto spostato verso le finestre. Non solo perché era seduto al bordo della fila, ma perché stava proprio con tutto il busto inclinato verso le vetrate. Il foglio lo teneva sotto i gomiti e non lo guardava neanche. Guardava fuori, invece, e pensava che non ne aveva voglia, che avrebbe dovuto averla prima e invece niente. Che non gli andava nemmeno di stare li e stava buttando via quel tempo che invece avrebbe voluto impiegare nel baretto delle colazioni, seduto sulla sedia rossa di plastica insieme a Giulietta e alla sua gonna leggera di cotone a righe.
Che poi l’avrebbe trovata lì, dopo l’esame. Lei aveva l’orale di filologia romanza. Si sarebbe lamentata un po’ ma poi gliel’avrebbe detto, che si era beccata un 28.
“E tu?”
“Boh, vediamo, era un casino. Quello stronzo del prof ha messo cose che non aveva neanche spiegato.”

Ma non ne era sicuro perché non è che seguisse tutta e tutte le lezioni. E adesso si sentiva stranamente più basso di Giulia, che pur con tutti i suoi riccioli in realtà non gli arrivava alla spalla.

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