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Il gatto, la strega e la pipa di radica

IL gatto, la strega e la pipa di radica

Tinn tinn, tin. Di carillon e vento.
E i passanti sollevavano la testa e alzavano un sopracciglio.

Sarà stata una strega o una vecchia signora, sarà stata un tempo una madre, una persona per bene?
Di quelle rispettabili, si intende. Tutte casa e lavoro e buste del pane alle sette di sera. Di quelle che corri corri, e non arrivi mai. Ma l’importante è correre.

Chi lo sa. Adesso non lo era. Era strana.
Lei, il suo gatto e quella collezione soffocata nella polvere.

Forse sono solo le cose la memoria del nostro passato. Loro rimangono se stesse anche dopo cento anni. Noi no. Noi non si è più noi neanche dopo due minuti.

Nelle mattine tiepide di sole usciva sul balcone, i capelli grigi arruffati, le calze a metà del polpaccio quadrato, le ciabatte di pezza.
Forse, tante mattine di sole fa, aveva avuto perfino delle caviglie. E magari caviglie che facevano girare la testa.

Se lei non rientrava dopo pochi minuti a uscire era il gatto, a meno che non stesse sonnecchiando in cima allo schienale del vecchio divano marrone.
Un giro intorno all’ex-caviglia e via, come a dire “lascia stare”, “vieni via”.

E lei guardava in giù, tra le ciabatte e le maioliche sbeccate del balcone, e con un mezzo sorriso tornava dentro.

La storia della pipa era tutta un’altra faccenda. Una volta un antiquario era pure salito per dare un’occhiata, ma poi non aveva voluto più parlarne. A chi gli chiedesse cosa ci fosse dietro a quel balcone di cianfrusaglie e tempo passato, lui rispondeva con un’alzata di spalle o, ai più insistenti, con un vago cenno della mano come a dire “niente di importante”. Però lui non ci era più voluto tornare. Eppure gli piaceva curiosare nelle vecchie case e nelle vecchie cose.

Ovvio che fosse una strega. All’imbrunire si trasformava in topo. Come quello che ora camminava, in equilibrio, sul filo del suo balcone.
Per questo il gatto lo stava a guardare da lontano?

Passarono giorni tiepidi anche quando nè, streghe, nè topi, nè gatti si affacciarono più al balcone.

I bimbi guardarono sempre meno verso l’alto.

Eppure. Tinn, tinn, tin.
Insieme al garrire delle rondini.

Tinn, tinn, tin.
Sotto la pioggia battente delle domeniche di giugno.

Tinn, tinn, tin.
Nel bianco silenzioso della neve d’inverno.

Tinn, tinn, tin.

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