racconti

Quaggiù

quaggiu - francesca bruno
quaggiu - francesca bruno

Stava così giornate intere, inverno e primavera: col naso per aria e le ciocche più lunghe dei capelli a pizzicargli le spalle. C’erano mattine in cui la cuoca iniziava presto a trafficare in cucina, e il profumo del pane e degli intingoli gli faceva contorcere lo stomaco. Allora aveva preso a mettersi in tasca qualcosa prima di uscire: una mela bacata, un tozzo di pane. A volte la cuoca, tornando dal mercato, gli allungava un pezzetto di formaggio o una pesca e poi sgattaiolava su per le scale. Lui la ringraziava con un sorriso largo tutta la faccia e un piccolo inchino, poi tornava col naso in sù.

Non avevano più di quattordici anni, né lui, né lei. Ma ad entrambi sembrava di essere adulti.
Sarina stava nascosta dietro agli scuri azzurri e si immaginava nelle grandi sale dorate del palazzo dei Dogi, a ballare, ballare, ballare col suo Manfrotto.
Lui, poggiato con la schiena al muro della casa di fronte, pensava come fare a prenderla per mano.

Passarono sette anni prima che Sarina e Manfrotto si potessero prendere davvero per mano, e fu solo davanti all’altare con la tovaglia bianca e a Don Peppino. Eppure non ci fu un giorno, di quel lungo tempo, in cui Sarina e Manfrotto non si sognarono assieme. E che brividi, lui da sotto la finestra, lei da dietro gli scuri.

Non ballarono mai nella sala del Doge. Sarina smise di sognarlo quando incominciò a crescerle la pancia. Mica una mamma può stare sempre a perder tempo con queste cose da ragazzini.

Nulla mai sarebbe stato più bello per loro che quelle calde giornate di luglio, quando la Sarina si faceva immaginare da quaggiù.

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